domenica 8 febbraio 2009

7 FEBBRAIO 2009: FIRENZE HA SCELTO!

C'E' UNA DATA, QUELLA DEL 10 FEBBRAIO, IN CUI UNA LEGGE DELLO STATO FISSA LA "GIORNATA DEL RICORDO". UNA GIORNATA DA DEDICARE AL RICORDO DEGLI OLTRE 30.000 ITALIANI GETTATI VIVI NELLE FOIBE CARSICHE DAI PARTIGIANI COMUNISTI DEL MARESCIALLO TITO (CON LA CONNIVENZA ANCHE DI QUALCHE PARTIGIANO COMUNISTA NOSTRANO...) AL TERMINE DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE E DEI 350.000 ISTRIANI, GIULIANI E DALMATI CHE, PER NON FARE LA STESSA FINE, FURONO COSTRETTI AD ABBANDONARE LA PROPRIA TERRA E RIFUGIARSI IN ITALIA.
Nella lunga, controversa, affascinante, storia d'Italia esiste una pagina molto particolare. E' la pagina che riguarda gli avvenimenti accaduti sul "fronte orientale" sul finire della Seconda Guerra Mondiale e nel biennio immediatamente a seguire.

Con "confine orientale" si intendono quelle terre a cavallo tra la penisola italica e l'area geografica dei Balcani: Venezia Giulia, Istria e Dalmazia, terre storicamente contese tra cultura latina e cultura slava, terre nelle quali la convivenza tra italiani e slavi non è mai stata troppo facile.

Ma a chi appartengono l'Istria, la Dalmazia e la Venezia Giulia? Rispondere ad una domanda del genere non è facile e, anche se qualcuno volesse dare una risposta, difficilmente questa risulterebbe obiettiva e inopinabile, anzi spesso, tutte le risposte che si sono date a questo tipo di domanda, hanno finito con l'essere figlie di passioni, di sentimenti, di patriottismo, di una visione partecipata in prima persona.

Ma noi non vogliamo parlare di storia balcanica. Partiamo da un dato di fatto: nel 1945, al termine della Seconda Guerra Mondiale, l'Istria, la Dalmazia e la Venezia Giulia erano ancora territorio italiano. La popolazione slava aveva subito ritorsioni, soprusi e violenze per conto del regime fascista? Siamo obiettivi, il Fascismo aveva tra le proprie priorità, quella di "italianizzare" la popolazione e, soprattutto nelle zone di confine, dove ceppi etnici differenti si trovavano a convivere sotto la bandiera italiana, le operazioni di "italianizzazione" divennero più concentrate. Questo porto, in molti casi, al forzato cambio di denominazione di località che avevano mantenuto il nome slavo e, in alcuni casi, anche al cambio obbligato del cognome per i cittadini slavi (i cognomi venivano italianizzati...). Ovviamente nelle scuole si insegnava obbligatoriamente la lingua del Regno e la storia studiata era quella di Roma e non quella delle popolazioni slave. Negare questo significherebbe negare la storia e questo non appartiene al nostro modus operandi.

Alla fine della guerra gran parte di questi territori vennero occupati dalle truppe partigiane, comuniste, comandate da Jozip Broz, detto "Tito" le quali avevano come obiettivo quello di strappare più terreno possibile ad Italia e Terzo Reich al fine di realizzare un nuovo stato Jugoslavo il più esteso possibile.

Fosse stato il Fascismo particolarmente violento, oppressore e criminale verso la popolazione slava, questo progetto, portato avanti da Tito, sarebbe stato ben visto e supportato dalla stragrande maggioranza della popolazione slava, la quale avrebbe colto l'occasione per liberarsi dall'oppressore italiano. Ma questo non accadde... Le milizie di Tito erano composte per lo più da Serbi e balcanici del sud (nemici in guerra dell'Asse, figli di paesi occupati dalle truppe naziste e quindi belligeranti anche contro l'Italia) con l'aggiunta di un discreto contingente sloveno e di pochissimi bosniaci e croati. Chissà perchè, la Croazia ad esempio, confinante dell'Italia, dalla quale si era vista privare delle terre dalmate e istriane, non ha accolto Tito come un liberatore, ma come un nemico da combattere! Forse per la popolazione croata era decisamente peggio sottostare alla tirannide titina piuttosto che lasciare all'Italia terre tanto croate quanto italiane!

Con la sconfitta dell'Asse le terre in questione vennero suddivise in tre zone: Trieste, parte della Venezia Giulia e dell'Istria, il restante territorio giuliano e istriano e la costa dalmata. La prima e la seconda zona furono poste sotto il controllo dell'amministrazione militare britannica, la terza parte assegnata fin da subito a Tito ed alla nascente Repubblica Popolare Jugoslava.

E fu qui che andò in scena la peggiore pulizia etnica mai patita dal popolo italiano. Nelle parti di Venezia Giulia, Istria e Dalmazia assegnate a Tito iniziò una vera e propria caccia all'italiano. Le squadre partigiane (soprattutto il mai dimenticato IX Korpus Sloveno) che avevano combattuto in guerra, adesso si trasformavano in squadre di polizia politica inviate a rastrellare casa casa in cerca di italiani. E qui decade la tesi di chi cerca di giustificare l'eccidio delle foibe parlando di spontaneo moto di rivolta del popolo slavo oppresso dal Fascismo: nessun moto di rivolta, nessuna insurrezione, ma soltanto polizia politica con tanto di stella rossa sul cappello che rastrella italiani, li rinchiude in campi di concentramento e, dopo svariate torture, li getta vivi nelle cavità del terreno carsico dette appunto foibe.

Furono oltre 30.000 i nostri connazionali deportati dai partigiani titini, torturati e uccisi. Ma la cosa forse più orrenda fu che ad aiutare le malefatte degli slavi agli ordini del boia Tito vi erano anche molti partigiani italiani che, finita la guerra, avevano visto infrangersi sugli scogli di Yalta il sogno di vedere un'Italia comunista e, completamente asserviti a logiche di ideologia e non di patria, avevano così varcato il confine e si erano arruolati nelle milizie di Tito, convinti di costruire al di là del confine orientale il "paradiso socialista". A molti di loro, il futuro nel "paradiso socialista" riserverà la carcerazione in campi di concentramento ricavati in isole isolate e spoglie dell'Adriatico. Purtroppo qualche infoibatore fu decisamente più fortunato e riuscì anche a rientrare in Italia e ad essere decorato come "eroe della resistenza"...

Quando gli italiani rimasti in territorio slavo si accorsero di cosa stava accadendo ai loro connazionali, decisero di mettersi in salvo nell'unica, dolorosa, maniera possibile: lasciare la casa, la propria terra, le proprie radici e, con al massimo una valigia a testa, fuggire oltre il confine e chiedere la concessione dello status di profughi alla nuova Italia repubblicana. In 350.000 lasciarono la Venezia Giulia, l'Istria e la Dalmazia consapevoli che mai più sarebbero stati padroni a casa propria. Una cosa però non avrebbero mai immaginato: che l'Italia li avrebbe trattati come ospiti decisamente scomodi, da nascondere, da mantenere in silenzio, come figli indesiderati. Loro che avevano dato anche la vita per la bandiera tricolore.

La storia poi andò avanti. L'Italia scelse di affogare nel silenzio le storie accadute sul "confine orientale". Scelse di far finta che quei suoi 30.000 figli non fossero mai esistiti. Scelse di sorridere al vicino Jugoslavo che aveva massacrato 30.000 italiani, perchè l'Italia del tempo era un'Italia vile, vigliacca, china e timorosa di tutto e tutti.

E così, quando l'amministrazione britannica cessò sulle zone di confine, l'Italia non alzò la voce e l'ingombrante figura di Tito potè vantare mire di acquisizione di tutta la cosiddetta "Zona B". L'Italia rischiò di perdere anche Trieste, non fosse stato per un moto popolare che quasi scatenò un'insurrezione pur di tornare ad essere italiani!

Nel 1967 l'Italia rinunciò definitivamente all'Istria, a gran parte della Venezia Giulia ed alla Dalmazia. Pola, Fiume, Zara, Ragusa, Isola, Capodistria divennero così definitivamente Pula, Rijeja, Zadar, Dubrovnick, Izola e Koper. La vile italietta si era vista trucidare 30.000 suoi figli, ma ciò nonostante rimase a capo chino di fronte al Maresciallo Tito.

Prima di concludere questo excursus storico, mancano però altri due significativi episodi da raccontare. Il primo accaduto nel 1980, quando la morte, quella di fronte alla quale anche il potente Maresciallo infoibatore è uguale all'ultimo degli stronzi (e scusate la caduta di stile...), si portò via il "Boia di Belgrado" l'allora italico presidente Pertini pensò bene di recarsi in visita ufficiale in Jugoslavia per baciare la bara di Tito. Bara coperta da quella infame bandiera sotto la quale erano stati massacrati 30.000 italiani. Bandiera alla quale evidentemente l'Italia si sentiva di essere grata...

Il secondo episodio serve invece a sottolineare quanto anche le popolazioni slave fossero state felici e radiose sotto la tirannide titina. Quella che, secondo gli ignoranti della storia, avrebbe "liberato" gli slavi dall'oppressione italiana: morto Tito la Jugoslavia fu travolta da un'orrendo periodo di guerra conclusosi con la secessione di tutte le singole repubbliche che ne avevano fatto parte, Slovenia e Croazia in testa. Della serie: provate ad andare a Lubijana o a Zagabria e parlate di Tito... Vedrete che begli aggettivi di stima e simpatia la popolazione locale riserva al Maresciallo!

Ma in Italia, la storia delle foibe e degli esuli continuava ad essere sottaciuta. Nessuno doveva sapere. Nessuno doveva conoscere quella pagina di sangue. Nel 2004 finalmente, grazie ad Alleanza Nazionale, fu istituita la "Giornata del Ricordo", fissata per il 10 di Febbraio. Dopo quasi 60 anni di silenzio, l'Italia governata dalla destra, rese finalmente omaggio a questi suoi figli.

Ciò nonostante, quando in occasione di questa giornata qualcuno decide di celebrare degnamente questi nostri fratelli meno fortunati, c'è ancora chi preferisce ricordare la funesta immagine di Tito e dei suoi infoibatori. E il caso di Firenze dove, ogni anno, Alleanza Nazionale e Azione Giovani organizzano un corteo silenzioso in memoria di questi figli d'Italia e dove, puntualmente, quattro straccioni dei centri sociali, supportati da partiti e associazioni di estrema sinistra convocano presidi e contromanifestazioni dove sventolano bandiere rosse e vessilli titini.

Ogni anno la stessa sterile polemica: i "fascisti" vogliono strumentalizzare la storia... i "fascisti" sfileranno con croci celtiche e saluti romani con la scusa delle foibe... i "fascisti" vogliono riscrivere la storia...

Ed ogni anno, puntualmente, il corteo di Azione Giovani e Alleanza Nazionale sfila in rispettoso silenzio, senza simboli, senza inni, senza slogan, di fronte ad una gazzarra informe che sa solo sbraitare e minacciare di "uccidere", "bruciare", "infoibare".

Quest'anno finalmente questa diatriba ha avuto il suo epilogo, mostrando a tutta la città, in maniera chiara, chi sono le due fazioni in polemica tra loro. Il solito "presidio antifascista antifoibe" è stato convocato dall'estrema sinistra (anche se tra le bandiere vi erano anche quelle di alcuni partiti politici, diciamo così, "ufficiali"... vedi Rifondazione) con il chiaro titolo: "WE WANT MORE FOIBE" ovvero "VOGLIAMO ALTRE FOIBE". Viva la sincerità!

Dall'altra parte la nostra risposta: non più un corteo di AN e AG soltanto, nessun simbolo di partito, ma soltanto bandiere tricolori e corteo aperto a tutta la cittadinanza.

Il risultato ha stabilito una volta per tutte la verità: da una parte quasi un migliaio (la città blindata e lo spiegamento di forze dell'ordine costrette ad intervenire a causa dei quattro cialtroni che minacciano, come detto, di "uccidere", "bruciare", "infoibare", non ha certo aiutato l apartecipazione spontanea dei cittadini...) di persone che sfilano in silenzio, senza simboli di partito, con tante bandiere tricolori e, alla fine, cantano l'inno d'Italia e depongono un mazzo di fiori ai martiri delle foibe; dall'altra parte un centinaio scarso di "coglioni" (scusate ancora una volta la caduta di stile, ma non abbiamo trovato un termine che rendesse meglio l'idea...) con le solite bandiere rosse e titine che urlavano di "ucciderci", "bruciarci vivi dentro le nostre sedi" e di... "metterci nelle foibe". Dal prossimo anno almeno, Firenze avrà la possibilità di scegliere da che parte stare, dalla parte di chi ricorda gli italiani uccisi, o da quella che ne vorrebbe uccidere altri perchè, evidentemente per loro, 30.000 sono stati pochi...

Un ultimo appunto alla retorica squallida dei contromanifestanti. Per un'ora hanno urlato e sbraitato che prima o poi ci avrebbero "messo nelle foibe" tutti... Uno per uno... Intanto l'unico fermato dalle forze dell'ordine girava con in tasca uno spay al peperoncino, di quelli "anti-scippo per signora", un coltellino ed un paio di pennarelli... Sinceramente ci sembra più l'attrezzatura adatta a difendersi da qualche male intenzionato all'uscita da un teatro o da un ristorante, che non quella necessaria ad "infoibare" un migliaio di persone...

Complimenti per l'ennesima figura da beceri. La Firenze civile, rispettosa, identitaria e fiera delle proprie radici ha vinto ancora una volta.

Dal sito www.agfirenze.it